Descrizione
Il Quinziano di Antonio Aniante, meritoriamente custodito dall’attore Turi Giordano, viene restituito ai catanesi tutti e a ogni lettore di buona volontà: ai tanti palermitani che, non sazi di Santa Rosalia, vorrebbero pure (a torto o a ragione) Sant’Agata. Le fintoserie disavventure della messinscena (Anfiteatro “Gangi”, 16 maggio 1923), trascritte con sottile perfidia affabulatoria nella novella aniantiana Solafugo (1930), dicono già che cosa voleva essere, e forse fu davvero, la “tragedia” del giovane avanguardista: una scommessa di citazionismo colto (con ironie paradannunziane a comandare il gioco) innestato su una vicenda di venerata tradizione agiografica. Ad Agata si riserva un atteggiamento ieraticamente capace di trascendere ogni evento senza profferire parola; ma è Quinziano, ipotetico procuratore di Roma, a fare lo spettacolo. Violento, irascibile, capriccioso, innamorato da perderci la testa, tortura l’inattingibile giovinetta soffrendone per il primo; e andando incontro a un quasi cercato destino di morte finisce col riscattarsi, se non proprio sublimarsi. Il tutto è manovrato da Aniante con supremo sprezzo del pericolo: tra maschere dell’Arte e Opera dei Pupi, satira antitirannica in anticipo sul Nerone di Petrolini e semiseria divagazione sull’eterno carnevale della vita: e dell’amore.