Descrizione
Si assiste oggi ad un’aspra contesa tra sociologi, psicologi e produttori-dirigenti di tecnologie della comunicazione. Gli uni sostengono sovente l’equazione secondo cui la violenza veicolata dai media genera aggressività infantile, gli altri negano ogni influsso negativo.
Al centro della discussione, giovani connessi 24 su 24 alla rete, protagonisti nelle comunità on line, dotati di io-virtuale su Second Life, che manifestano la voglia di partecipazione all’interno di gruppi ristretti, di piccole tribù nomadi. Una generazione che sfugge alle classificazioni, perché rispetto ai fratelli più grandi o ai genitori ha un ventaglio maggiore di possibilità. Così ognuno costruisce un percorso personale, fatto di passioni e interessi, dando vita a veri e propri palinsesti culturali individuali.
Tuttavia, la rappresentazione mediatica di tali giovani – assunto di partenza della ricerca – non coglie questa complessità e finisce con il ruotare, invece, soprattutto attorno al fenomeno del bullismo (termine coniato nei paesi scandinavi oltre vent’anni addietro, ma che attualmente sta conoscendo una grande popolarità). Oggi, tra l’altro, i cittadini hanno la possibilità di “vedere” gli atti di bullismo, tramite Youtube, Google video e simili servizi disponibili su Internet per la fruizione di video “artigianali”. Questa opzione, impensabile nei decenni precedenti, ha reso il bullismo uno spettacolo, catartico o semplicemente angosciante a seconda del tipo di pubblico che l’osserva.