Descrizione
Da alcuni decenni l’università italiana è rappresentata come un sistema attraversato da una profonda contraddizione. Temi quali l’abbandono, il ritardo negli studi, il basso numero di laureati e il carente collegamento con il mondo del lavoro ricorrono frequentemente nel dibattito politico, sociale e accademico del nostro Paese. Altrettanto frequentemente, però, viene sottolineata la capacità da parte dei nostri atenei di formare laureati preparati, capaci, dotati di profili formativi solidi. Entrambe le dimensioni dipendono, con modalità differenti e a diversi livelli di responsabilità, sia dalle logiche del sistema universitario sia dalle politiche in materia di istruzione e formazione, nonché dall’assetto economico e dalla capacità di assorbimento del mercato del lavoro.
Questa contraddizione appariva costitutiva di quello che oggi viene definito Vecchio ordinamento didattico. Al fine di eliminare tale stato di contraddittorio equilibrio, il sistema universitario italiano è stato investito negli ultimi tre lustri da radicali riforme, tra le quali la più importante per contenuti e potenziale impatto innovativo è stata introdotta dal Dm 509/1999.
Il quadro ricostruibile a livello nazionale è bene rappresentato dalla situazione del più grande ateneo italiano: la Sapienza Università di Roma. Il programma di ricerca i cui risultati sono qui presentati (che si è avvalso di dati longitudinali relativi alle carriere di 16 coorti di immatricolati) ha, infatti, permesso di evidenziare come, a una situazione piuttosto critica nei primi anni ’90, sia seguito un periodo di importanti cambiamenti. La stagione positiva della Sapienza, però, non coincide con l’avvento della Riforma, bensì risulta anticipata di qualche anno. Inoltre, questo periodo di relativa prosperità è destinato a durare poco.