Descrizione
Il maxiprocesso alla mafia svoltosi a Palermo dal 10 febbraio 1986 al 16 dicembre 1987 sulla complessa istruttoria curata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino si concluse con una memorabile sentenza con la quale dopo un dibattimento durato ben 22 mesi per 349 udienze, furono irrogati 19 ergastoli, 2665 anni di reclusione e 11 miliardi delle vecchie lire di pene pecuniarie. La sentenza che, dopo le parziali modifiche dell’appello, fu riconfermata sostanzialmente dalla Cassazione, costituisce ancor oggi materia di discussione per i suoi fondamentali risultati: 1) riconoscimento dell’associazione criminale “cosa nostra” come associazione per delinquere peculiare, ai sensi dell’art. 416 bis C.P.; 2) riconoscimento dell’esistenza di un suo vertice (chiamato commissione o cupola) col problema della responsabilità dei suoi componenti rispetto alle centinaia di omicidi addebitati nel processo ad alcuni dei 467 imputati, di cui 220 detenuti e presenti al dibattimento.
Nel libro il cui titolo Il maxiprocesso venticinque anni dopo (col sottotitolo Memoriale del presidente) sottolinea, richiamando la nota opera del Dumas, la distanza temporale dagli avvenimenti narrati che tuttavia non ne diminuisce l’interesse, il processo è ricordato fin dagli inediti antefatti e seguito nei suoi tratti più salienti,mettendo in luce le non comuni difficoltà derivanti dalla sua inconsueta vastità e svelando retroscena e passaggi sconosciuti o non esattamente riportati , fino al suo epilogo giudiziario e al suo impatto nella coscienza sociale. Fondamentale appare l’approfondita valutazione dei risultati probatori offerti dal processo, insieme con le notazioni umane dei protagonisti di esso, che emergono da un’indagine obiettiva ed approfondita. L’autore è riuscito, pur non trascurando la sostanza giuridica dell’indagine, a conferire al racconto uno stile agile e chiaro, centrando gli elementi che potessero incuriosire, o comunque interessare, il lettore. Dando così luogo a un contributo di carattere rigorosamente storico, e quindi obiettivo, ma subiettivato dai riferimenti personali di chi l’ha vissuto (quali ad esempio l’imperativo categorico kantiano di compiere il proprio dovere ad ogni costo, analogo al canone morale dei protagonisti dei romanzi di Hemingway, che ha determinato l’assenso dell’autore, solo fra tanti, a presiedere il processo che ispirava tanto terrore) sì da giustificare lo slogan “la vita d’un uomo attraverso un processo”.