Descrizione
La scelta islamica della statualità come forma della religione è mirata all’adozione del diritto statale come diritto della “Religione-Stato”, un diritto positivo erga omnes configurato dai detentori del sapere religioso; tale statualità utilizza la cogenza del potere statuale per imporre un diritto su misura per musulmani, e non per non credenti e apostati, soggetti quest’ultimi a pena capitale; un diritto positivo, per giunta, cristallizzato nei principi della immutabile sharia medievale, ancor oggi invocata da molti musulmani. Max Weber definiva un secolo fa il diritto musulmano un diritto non di tutti, ma “di ceto”, cioè dei soli suoi credenti, un “particolarismo giuridico”, non certo un fenomeno di dignità universale.
L’uscita da tale “particolarismo” è possibile solo abbandonando l’ibridazione “Religione-Stato”, riconducendo la Religione al precetto coranico di una fede senza costrizione; e comunque in solidarietà con i progressi storici dell’umanità. I musulmani, “moderati” e non, sembrano storicamente destinati a separare la religione dalla politica, e così le leggi dei legislatori attuali dai vincoli di sistemi teocentrici obsoleti, accettando un quadro di eguaglianza come cittadini senza riserve mentali e doppie lealtà.