Descrizione
La guerra accompagna la storia degli uomini da sempre ma da sempre gli uomini fanno fatica per darne la ragione per giustificarla ma soprattutto per delegittimarla. Viene sentita come una sorta di universale culturale negativo. Quindi, in quanto un’espressione più tragica della violenza, potrebbe essere intesa come un indice del grado d’umanità di una cultura. Ma non è stato sempre così e non per tutti, come ci dice Malinowski. Il mito dell’uomo primitivo pacifico è ugualmente falso come la convinzione che la guerra è un’eredità fondamentale dell’uomo, un destino psichico o biologico dal quale l’uomo non sarà mai in grado di liberarsi. Tutti i tipi di lotta sono complesse reazioni culturali che derivano non da diretti divieti dell’impulso, ma da forme collettive di sentimenti e di valori. La guerra come strumento di diffusione e di reciproco arricchimento tramite la conquista assume però un ruolo importante nell’evoluzione e nella storia. Il suo scopo e raison d’ètre dipendeva dalla sua capacità di creare valori più grandi di quelli che distruggeva. La guerra era creativa sotto il profilo culturale, se ad es. creava una nuova istituzione – uno stato nazionale. Tuttavia la guerra è un fenomeno di una durata strettamente storica; essa aveva il valore culturale ma non universale e limitato ad una epoca bene definita dello sviluppo dell’umanità. Oggi abbiamo raggiunto lo stadio dello sviluppo in cui la guerra cessa di essere una forza creativa culturale; è diventata solo distruttiva e demoralizzante, la più crudele e animalesca manifestazione di prepotenza della macchina dell’uomo. Pertanto l’unica alternativa per noi è o eliminare la guerra e organizzarsi per la pace o soccombere. Ad ogni modo, il problema essenziale non è la possibilità di una sua completa eliminazione dalla natura umana, ma il modo di canalizzarla per farne una forza costruttiva. Tale quesito, secondo Malinowski, è oggi il principale compito della teoria della civiltà.